Friday, February 11, 2011

Se queremos que tudo fique como está, é preciso que tudo mude. Fiz-me entender?

(...)
La mattina dopo il sole illuminò un Principe rinfrancato. Aveva preso il caffè ed in veste da camera rossa fiorata di nero si faceva la barba dinanzi allo specchietto. Bendicò posava il testone pesante sulla sua pantofola. Mentre si radeva la guancia destra vide nello specchio, dietro la sua, la faccia di un giovanotto, un volto magro, distinto con un'espressione di timorosa beffa. Non si voltò e continuò a radersi. "Tancredi, cosa hai combinato la notte scorsa?" "Buon giorno, zio. Cosa ho combinato? Niente di niente: sono stato con gli amici. Una notte santa. Non come certe conoscenze mie che sono state a divertirsi a Palermo." Don Fabrizio si applicò a radere bene quel tratto di pelle difficoltoso fra labbro e mento. La voce leggermente nasale del ragazzo portava una tale carica di brio giovanile che era impossibile arrabbiarsi; sorprendersi, però, poteva forse esser lecito. Si voltò e con l'asciugamano sotto il mento guardò il nipote. Questi era in tenuta da caccia, giubba attillata e gambaletti alti. "E chi erano queste conoscenze, si può sapere?" "Tu, zione, tu. Ti ho visto con questi occhi, al posto di blocco di Villa Airoldi mentre parlavi col sergente. Belle cose, alla tua età! e in compagnia di un Reverendissimo! I ruderi libertini!" Era davvero troppo insolente, credeva di poter permettersi tutto. Attraverso le strette fessure delle palpebre gli occhi azzurro-torbido, gli occhi di sua madre, i suoi stessi occhi lo fissavano ridenti. Il Principe si sentì offeso: questo qui veramente non sapeva a che punto fermarsi, ma non aveva l'animo di rimproverarlo; del resto aveva ragione lui. "Ma perché sei vestito così? Cosa c'è? Un ballo in maschera di mattina?" Il ragazzo divenne serio: il suo volto triangolare assunse una inaspettata espressione virile. "Parto, zione, parto fra mezz'ora. Sono venuto a salutarti." Il povero Salina si senti stringere il cuore. "Un duello?" "Un grande duello, zio. Contro Franceschiello Dio Guardi. Vado nelle montagne, a Corleone; non lo dire a nessuno, soprattutto non a Paolo. Si preparano grandi cose, zione, ed io non voglio restarmene a casa, dove, del resto, mi acchiapperebbero subito, se vi restas­si." Il Principe ebbe una delle sue visioni improvvise: una crudele scena di guerriglia, schioppettate nei boschi, ed il suo Tancredi per terra, sbudellato come quel disgraziato soldato. "Sei pazzo, figlio mio! Andare a mettersi con quella gente!, Sono tutti mafiosi e imbroglioni. Un Falconeri dev'essere con noi, per il Re." Gli occhi ripresero a sorridere. "Per il Re, certo, ma per quale Re?" Il ragazzo ebbe una delle sue crisi di serietà che lo rendevano impenetrabile e caro. "Se non ci siamo anche noi, quelli ti combinano la repubblica. Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi. Mi sono spiegato?" Abbracciò lo zio un po' commosso. "Arrivederci a presto. Ritornerò col tricolore." La retorica degli amici aveva stinto un po' anche su suo nipote; eppure no. Nella voce nasale vi era un accento che smentiva l'enfasi. Che ragazzo! Le sciocchezze e nello stesso tempo il diniego delle sciocchezze. E quel suo Paolo che in questo momento stava certo a sorvegliare la digestione di "Guiscardo!" Questo era il figlio suo vero. Don Fabrizio si alzò in fretta, si strappò l'asciugamani dal collo, frugò in un cassetto. "Tancredi, Tancredi, aspetta," corse dietro al nipote, gli mise in tasca un rotolino di "onze" d'oro, gli premette la spalla. Quello rideva: "Sussidi la rivoluzione, adesso! Ma grazie, zione, a presto; e tanti abbracci alla zia." E si precipitò giù per le scale.
Venne richiamato Bendicò che inseguiva l'amico riem­piendo la villa di urla gioiose, la rasatura fu completata, il viso lavato. Il cameriere venne a vestire e calzare il Principe. "Il tricolore! Bravo, il tricolore! Si riempiono la bocca con questa parola, i bricconi. E che cosa significa questo segnacolo geometrico, questa scimmiottatura dei francesi, cosi brutta in confronto alla nostra bandiera candida con l'oro gigliato dello stemma? E che cosa può far loro sperare quest'accozzaglia di colori stridenti?" Era il momento di avvolgere attorno al collo il monumentale cravattone di raso nero. Operazione difficile durante la quale i pensieri politici era bene venissero sospesi. Un giro, due giri, tre giri. Le grosse dita delicate componevano le pieghe, spianavano gli sbuffi, appuntavano sulla seta la testina di Medusa con gli occhi di rubino. "Un gilet pulito. Non vedi che questo è macchiato?" Il cameriere si sollevò sulla punta dei piedi per infilargli la redingote di panno marrone; gli porse il fazzoletto con le tre gocce di bergamotto. Le chiavi, l’orologio con catena, il portamonete se li mise in tasca da sé. Si guardò allo specchio: non c'era da dire era ancora un bell’uomo. "'Rudere libertino!' Scherza pesante quella canaglia! Vorrei vederlo alla mia età, quattro ossa incatenate come è lui”.
II passo vigoroso faceva tinnire i vetri dei saloni che attraversava. La casa era serena, luminosa e ornata; soprattutto era sua. Scendendo le scale, capì. "Se vogliamo che tutto rimanga com'è..." Tancredi era un grand'uomo: lo aveva sempre pensato.
(...)
(Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo - Parte I)
(Tradução)
Il Gattopardo

1 comment:

entanglement68 said...

Bellissimo questo pezzo, grazie!!
.. quindi dobbiamo cambiare tutto!!
ma le cose riusciranno poi davvero a rimanere così come sono adesso? il tempo si riesce davvero a fermare se si desidera farlo?